La storia del Galeone Santa Monica

Chi non ricorda il bellissimo galeone spagnolo del XVII secolo interrato nella darsena Europa? Tutti lo conoscevano come Santa Monica: era stato trasformato in un ristorante e faceva molto “in” frequentarlo magari per un semplice aperitivo. Come c’era finito un “galeone” nel porto di Viareggio nell’ottobre del 1961? E’ una storia salmastrosa che merita di essere raccontata.

Il 20 novembre 1920 dal cantiere navale di Gino Benetti in darsena Italia, viene varato il barcobestia Carolina, tutto costruito in legno di quercia e di pino. Il cantiere, in quel periodo, era di proprietà della società Costruzioni e Navigazione Velieri, conosciuta come “Ansaldo”. Le caratteristiche della barca erano: 289,86 tonnellate di stazza lorda, lunghezza alla linea di galleggiamento m 38,10 ed un larghezza di m 8,16. Il 16 gennaio 1921, la prima nazionalizzazione, mentre il 22 dello stesso mese viene iscritta nei registri della Capitaneria di Porto di Viareggio con il numero di matricola 515. L’armamento viene eseguito a Viareggio e la barca posta al comando del padrone marittimo Tommaso Vassallo. La proprietà, all’inizio, era divisa fra lo stesso Vassallo (4 carati) e Adolfo Lippi (20 carati). Poi il 20 novembre del 1923 il Lippi vende i suoi 20 carati a Milziade Sbrana che a sua volta rivende questa quota ad Adriano Canova il 21 marzo 1924; i 4 carati in possesso del comandante Vassallo passano a Riccardo Mangini il 4 dicembre 1925. Prima che il sesto di proprietà di Vassallo passi a Mangini, il 26 marzo 1925 la Carolina cambia nome in Emilia Madre.

Per molti anni la famiglia Canova la fece navigare in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo e su di essa navigarono soprattutto Marino e suo fratello, figli di Adriano, mentre la madre Emilia curava i noli dei vari carichi. Il 24 aprile 1938, l’Emilia Madre si trasforma in motoveliero con l’installazione di un motore ausiliario (4 tempi, 6 cilindri) che gli permette una velocità a pieno carico di 7,2 nodi. L’anno successivo (1939), Marino Canova e la sua fidanzata Ersilia avevano deciso di sposarsi a Venezia. Il 13 settembre, alla fine di un viaggio che avrebbe dovuto trasportare sabbia da Mazara del Vallo alla città lagunare, la barca subì un’avaria al motore e fu necessario portarsi a Genova per le riparazioni utilizzando le sole vele. Il 14 la barca raggiunse il porto ligure ed il 18 Marino e l’Ersilia si sposarono nella chiesa di San Francesco a Viareggio. E’ divertente conoscere questi sposi novelli nella descrizione che ne fa Carlo Pezzini nel suo “Viareggio dall’ascia all’acciaio”. La prima notte di nozze venne consumata nel letto di casa al di là del canale Burlamacca di fronte al palazzo delle suore Mantellate. Il giorno seguente, di buon’ora, Marino con il vestito della festa e l’Ersilia in guanti bianchi tornarono a Genova per rendersi conto dei danni subiti. Trovarono un tempo orribile e la barca male ormeggiata che rischiava di schiantarsi contro il molo. Mentre la sposa in guanti bianchi era impegnata con l’argano dell’ancora, Marino rinforzava gli ormeggi.

Due mesi durarono i lavori, poi la barca ripartì per Licata e l’Ersilia abortì del primo figlio. Fu quello un periodo di grande lavoro per l’Emilia Madre da un porto all’altro nel Mediterraneo. Finché a Livorno, il 10 maggio 1940, la barca si bloccò: c’era stata la dichiarazione di guerra. La stessa notte aerei alleati bombardarono il porto labronico, ma la barca viareggina non subì grossi danni. Il 15 agosto dello stesso anno venne requisita e trasferita a La Spezia e trasformata in dragamine amagnetico. Durante un attacco aereo, nel tentativo di lasciare il porto, urtò una mina ed affondò. Marino Canova ottenne dal comandante in capo dell’Alto Tirreno, Aimone di Savoia, il permesso per tentare di salvarla. Ci riuscì in parte, ma di nuovo venne affondata davanti alle Grazie dove rimase fino all’8 settembre 1943. Dopo la smilitarizzazione Marino e l’Ersilia lavorarono per il recupero della barca e le riparazioni necessarie, fino a rimetterla in ordine. Fu ripresa l’attività commerciale con molti viaggi fra il continente e le isole di Sardegna e Sicilia. Nel 1948 alla famiglia Canova fu fatta un’offerta per la vendita della barca da parte di una società cinematografica e di un armatore siracusano. Fu data a quest’ultimo con un contratto che prevedeva l’ipoteca navale. Nel 1956, al comando di Alfio Giorgetti di Viareggio, fu sequestrata perché rischiò l’affondamento con un carico eccessivo di zolfo. Venne di nuovo a Viareggio, al comando di Walter Guidi, detto “testina”, ed in data 13 agosto 1960 immatricolata di nuovo presso la nostra Capitaneria di Porto al n.828 con il nome di Santa Elisabetta.

Nell’ottobre del 1961 la barca fu di nuovo iscritta al n.2241 del Compartimento di Viareggio, trasformata in un galeone e destinata a ristorante e discoteca nel porto con il nuovo nome di Santa Monica, che non risulta dall’estratto di matricola della barca ed interrata in darsena Europa. Nel 1978 un violento incendio la rese inutilizzabile e, nel 1979, per ordine della Capitaneria, venne completamente distrutta. Il 6 maggio 1980 il Santa Monica – ex Carolina, ex Emilia Madre, ex Santa Elisabetta – fu definitivamente cancellata dai registri navali.

di Boris Giannaccini

Da Viareggiok del 20 luglio 2017

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